Lavorava ai ferri e all’uncinetto, ricamava e cuciva ed era capace di confezionare abiti.
Cucinava meravigliosamente, ogni giorno mi chiedeva di cosa avessi voglia, faceva la spesa e preparava.
Andavo a pranzo da lei tutti i giorni e prima di salutarmi mi dava una borsa con le pietanze per la cena, solo da scaldare.
Mi ha straviziata, ero la sua unica nipote, potete immaginare …
Acconsentiva ad ogni capriccio, non solo mio, ma di tutta la famiglia.
Vi faccio un esempio, il sabato era la giornata spaghetti, per accontentarci tutti faceva due cotture, una con gli spaghetti del numero 12 e l’altra del numero 1.
Eravamo in cinque e c’erano almeno tre condimenti diversi, chi li mangiava sottili al ragù, chi grossi al ragù, chi sottili al tonno, chi grossi al burro.
Quando arrivava il momento di fare il suo piatto, sempre per ultimo, finiva i nostri avanzi, facendo bis o tris di primi.
Sembrava motivata da un unico scopo, da quando si svegliava a quando andava a dormire, la sua missione era rendere felice la sua famiglia.
Aveva una soluzione per ogni problema, era pragmatica, odiava perdere tempo, era organizzatissima.
Programmava ogni momento della giornata, non stava mai ferma, mai, davvero.
Non aveva la patente, una volta le chiesi perché, mi rispose che: “all’epoca non costumava”, ma si era pentita e se avesse potuto tornare indietro l’avrebbe presa.
Per fortuna il nonno la portava ovunque volesse, garantendole la massima libertà negli spostamenti.
Per lei ero un libro aperto, non potevo nasconderle niente, per quanti sforzi facessi per celarle problemi e preoccupazioni, le bastava uno sguardo per capire che qualcosa non andava e farmi la domanda trabocchetto: “allora, cosa mi racconti?”, con quel tono che solo le nonne possiedono, dolce ed inquisitorio al tempo stesso.
Quello era il segnale che aveva capito e che dovevo raccontarle ogni cosa.
Quante volte mi sono sfogata con lei, quante lacrime ho versato, mentre mi diceva “vedrai che passa anche questa”, versando la sua pozione magica, un bicchiere d’acqua da cui dovevo bere “tre sorsi” per far passare tutto.
Grazie Nonna, mi manchi.
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