Da bambina guardavo i Puffi in tv, mi ricordo ancora la sigla cantata dalla mitica Cristina D’avena: “chi siano non lo so, gli strani ometti blu, son alti su per giù due mele poco più …”, e ovviamente impazzivo per il gelato al “puffo”.
Lo facevano tutte le gelaterie, ma poche riuscivano a renderlo commestibile, mi ricordo che al mare ce n’era una che metteva nella coppetta una pallina colorata, sembrava una biglia, era un chewing gum che serviva da consolazione dopo aver finito il gelato.
La maggior parte dei bambini di oggi non sa cosa siano i puffi, arrivano in gelateria e trovano il gusto “unicorno”, che probabilmente è fatto con ingredienti simili, ma è multicolore e meno riconoscibile.
Dovrebbe esserci un disciplinare o una convenzione che obblighi tutte le gelaterie a farlo nello stesso modo, invece in giro ci sono centinaia di versioni diverse, mentre il “puffo” doveva essere blu o almeno azzurro sbiadito e anche se non sapevo leggere, lo riconoscevo in mezzo agli altri gusti, e lo indicavo alla gelataia.
Uno dei ricordi più belli della mia infanzia, poi cresci, ti rendi conto che stai mangiando una schifezza, che il gelato è altro e passi a Bacio, Cioccolato e panna montata.
Ho idea che le nuove generazioni non si siano perse solo il gusto Puffo, ma molto di più; dopo il gelato il nonno andava a scambiare i gettoni e iniziavano i giri sulla macchinina e sul cavallino, niente videogiochi, iPad o iPhone.
Prima di addormentarmi la nonna mi raccontava una favola, le mie preferite erano Cappuccetto Rosso e i Tre Porcellini.
Non l’ho mai sentita parlare di Unicorni, ma conoscendola non le sarebbero piaciuti!
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