Ci sono due abitazioni, quella dei Park e quella dei Kim.
In una bella zona residenziale c’è l’immensa e sfarzosa villa della famiglia Park, grandiosa opera di arte e design, dove abitano il marito imprenditore di successo, la moglie casalinga annoiata e insicura, la figlia adolescente e l’irrequieto figlio più piccolo.
In un seminterrato dei bassi fondi, tra sporcizia e scarafaggi, sopravvive con lavoretti e imbrogli, la famiglia Kim, il padre Ki taek, la madre Chung-sook e due figli ventenni, ki-woo e la bella ki- jeong.
Un giorno un amico di Ki-woo, in partenza per l’estero, gli offre il suo lavoro di maestro di inglese della figlia dei Park e gli regala un pezzo di roccia che dovrebbe portare fortuna e ricchezza.
In brevissimo tempo, attraverso simpatici imbrogli e spietati tranelli, fingendosi estranei, tutti i Kim riescono ad essere assunti dai Park.
ki-Jeong diventa l’insegnante di arte terapia del figlio piccolo, la madre governante e il padre autista.
In una delle scene più divertenti, il padre prova il copione che dovrà interpretare il giorno dopo e viene corretto dai ragazzi, sui modi e i toni giusti da usare.
L’atteggiamento delle famiglie rispecchia la rispettiva posizione sociale, perfettamente agli antipodi l’una dell’altra, i ricchi possono permettersi di essere gentili e ingenui, mentre i poveri per sopravvivere, devono ingegnarsi ed essere furbi e scaltri.
Il diabolico piano procede senza intoppi, finché una notte, i Park si allontanano dalla villa per una gita e i Kim ne prendono possesso.
Gli usurpatori festeggiano, fanno finta di essere i proprietari della casa e si vantano di aver portato a termine un piano perfetto, la roccia magica ha funzionato.
Il film potrebbe concludersi così che già varrebbe il prezzo del biglietto, invece qualcuno, che era stato spodestato in precedenza, torna rimettendo tutto in gioco, ribaltando la situazione e trasformando la pellicola da cinica e spietata in tragica e commovente.
Diretto dal regista sud coreano Bong Joon-ho, Parasite, che significa parassita, è un film metaforico e riflessivo, in bilico tra commedia e tragedia, divertente e scioccante al tempo stesso.
Ci sono parassiti reali, quelli che infestano il sottoscala dei Kim e metaforici, gli stessi Kim.
Durante la festa improvvisata, Chung-sook dice al marito che è uguale agli scarafaggi di casa loro, per un attimo lui sembra prendersela, poi tutto finisce in scherzo.
Questo è uno di quei casi in cui scherzando si dice la verità, i Kim sono diventati i parassiti dei Park.
La casa è la vera protagonista di questa pellicola, è l’allegoria delle classi sociali, sopra i ricchi “padroni” sotto i poveri dipendenti “schiavi”.
È un luogo segreto e misterioso dell’abitazione dei Park, a regalarci, nella seconda parte, nuovi e inaspettati sviluppi.
Non intendo spoilerare nulla, aggiungo solo che a me ha ricordato la famosa botola del telefilm Lost …
Entrando in sala dobbiamo fare lo sforzo di calarci in una cultura diversa e lontana, con cui non abbiamo familiarità.
Siamo abituati a guardare i film americani e non facciamo più caso alle loro stranezze, in questo caso occorre confrontarsi con abitudini e schemi mentali nuovi.
A uno spettatore impreparato, Parasite può apparire banale, scontato e noioso.
Dopo la vittoria della Palma d’oro al festival del cinema di Cannes, a maggio, la critica l’ha promosso all’unanimità’.
È arrivato in Italia a novembre, in un numero limitato di cinema d’essai, passando inosservato.
Senza il clamore mediatico innescato dalle 6 candidature agli Oscar, che gli hanno garantito la proiezione su larga scala, sarebbe rimasto un film anonimo e sconosciuto, per meglio dire di nicchia, o per veri intenditori.
Adesso, dopo aver vinto quattro tra le statuette più importanti: miglior film, regia, sceneggiatura originale e film straniero, i cinema hanno raddoppiato le proiezioni.
La pubblicità e la popolarità influenzano le persone più della propria coscienza cinematografica.
Chi giudica un film non dispone di criteri oggettivi e convenzionali, tali da esprimere un corretto e unanime parere, inoltre l’approccio è diverso, chi lo fa per lavoro e chi per passione.
I critici cinematografici hanno il potere di stroncare o promuovere un film, ma è il pubblico che poi ne decreta il vero successo.
Spesso il giudizio è opposto, eccezione fatta per quelle pellicole che entrano nell’immaginario collettivo e ci restano per sempre.
Sfido io a dire che “Via col vento” è brutto!
Ci sono poi i premi, ma occorre tenere presente che un film non è un capolavoro perché viene nominato agli Oscar, vince la Palma o il Leone d’oro.
Quelli sono concorsi che arrivano a decretare un vincitore su centinaia, e sebbene la valutazione venga fatta da esperti del settore, non sempre incontrano il nostro favore.
Il vero successo si misura in incassi, siamo noi spettatori che, come a casa abbiamo il telecomando, al cinema acquistando il biglietto, esprimiamo l’unico voto che conta davvero.
La scelta di una pellicola piuttosto che di un’altra avviene in base all’attore famoso o preferito, al regista, al genere che più si avvicina ai nostri gusti e qualche volta, come in questo caso, la pubblicità e la risonanza mediatica ci influenzano e ci incuriosiscono, tanto da smantellare i pregiudizi e portarci in sala.
Ammetto di non aver mai visto un film di Bong Joon-ho e probabilmente non ne vedrò altri, non sono quella che si interessa di cinema d’essai, sono una spettatrice curiosa, che cerca di entrare al cinema, ogni volta, senza farsi condizionare da pubblicità, clamore mediatico, premi, facce o nomi famosi.
La coscienza cinematografica è una cosa che posseggono in pochi, ma con un allenamento costante e tanta buona volontà si può acquisire.
Dopo la cerimonia degli Academy Awards, sono sicura che tante persone correranno in sala, usciranno gridando al capolavoro, si improvviseranno massimi esperti nelle discussioni all’aperitivo, piuttosto che davanti alla macchina del caffè in ufficio.
Parasite rischia di diventare una “moda”, una di quelle cose che ci riempie la bocca perché “fa bello”, invece di avere il meritato successo, per la meravigliosa opera che è.
Se tra tutte le persone che andranno a vederlo adesso, anche una sola su 100, deciderà di vedere gli altri film del regista, o si informerà sulla rassegna dei cinema d’essai, o semplicemente si impegnerà per coglierne tutte le sfumature, sarà esclusivamente grazie agli Oscar, che in questo caso, hanno avuto il grande merito di portare alla ribalta e far conoscere questo incredibile Parasite.
Sempre senza spoilerare nulla, aggiungo che dopo due ore magistrali, il film non delude nemmeno alla fine, concludendosi con un messaggio positivo: la Speranza è capace di tenere vive le persone e di farle sopravvivere anche nelle situazioni più disperate.
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